Non solo naso



RINOPLASTICA
Durata intervento >60-120 min / Anestesia > generale Costo > 7000 Euro
La settorinoplastica è considerata universalmente la regina della chirurgia plastica facciale. Questo sia per la difficoltà dell’intervento chirurgico sia per l’impatto che può avere sull’estetica del viso. Nella chirurgia nasale si tende spesso ad operare una netta distinzione tra l’estetica e la funzione, ma nella pratica clinica è spesso impossibile correggere l’una trascurando l’altra. Per esempio, un naso torto dipende spesso da un setto deviato e sarebbe impensabile correggere l’alterazione estetica senza effettuare una settoplastica funzionale. Viceversa, un naso dal dorso molto alto e stretto implica la presenza di una stenosi a livello della valvola nasale interna e non è possibile occuparsi della funzione senza alterare l’estetica. La rinoplastica aperta o “open” è la moderna tecnica utilizzata dal Dott. Marianetti in tutti i suoi interventi: viene eseguita una piccola incisione in corrispondenza della columella (unità anatomica che unisce il labbro superiore con la punta del naso) e, attraverso essa, vengono esposte le strutture osteocartilaginee del naso, che possono quindi essere modificate sotto visione diretta ed in assenza di distorsioni. Ciò che è cambiato nella chirurgia del setto e della piramide nasale negli ultimi 50 anni è la filosofia dell’approccio chirurgico: da demolitivo a ricostruttivo, da sottrattivo ad additivo. Se circa 20 anni fa potevano essere considerati “belli” i nasi in cui si riconosceva nettamente la mano del chirurgo, oggi è universalmente riconosciuto che l’opera del chirurgo è stata adeguata quando non si vede che il naso “è rifatto”. In quest’ottica si è universalmente diffuso l’approccio open, che esalta l’aspetto architettonico ed anatomico della chirurgia nasale, permettendo di coniugare al meglio l’estetica con la funzione. Questo concetto è sempre più enfatizzato soprattutto dagli Autori Americani, che hanno fatto della “Open structurerhinoplasty” il principio inspiratore della rinochirurgia. I vantaggi dell'approccio open sono la possibilità di definire le deformità anatomiche sotto diretta ispezione della impalcatura osteocartilaginea, di effettuare la loro correzione in assenza di distorsioni e le garanzie maggiori di risultato. Questi vantaggi spiegano il perché tale approccio sia ormai utilizzato dalla stragrande maggioranza dei chirurghi nasali Americani.Gli svantaggi dell’approccio open sono la piccola cicatrice columellare (che di regola scompare entro i 6 mesi dall’intervento) ed un gonfiore post-operatorio della punta nasale maggiore rispetto all’approccio chiuso. L’intervento si esegue in anestesia generale? Si. Sebbene in alcuni casi sia possibile ricorrere all’anestesia locale e questo possa variare dalle preferenze del chirurgo e del paziente, è consigliabile l’anestesia generale. I tamponi nasali sono necessari? La risposta è no. Grazie ad una sutura particolare del setto, utilizzata dal Dottor Marianetti e denominata "sutura a materasso" non è più indispensabile l'applicazione dei fastidiosi tamponi post operatori, garantendo al paziente un decorso post-operatorio senza dolori e fastidi. Quanto tempo dura la convalescenza dopo l’intervento? La dimissione avviene normalmente il giorno dopo l’intervento con una sola notte di degenza. I tamponi vengono rimossi il giorno dopo l’intervento o al massimo dopo due o tre giorni. Sul naso viene applicata una mascherina nasale rigida che viene rimossa insieme ai punti di sutura columellari (sotto la punta del naso) a sette giorni dal’’intervento. Dopo la rimozione della mascherina, verranno applicati dei cerotti sul dorso nasale per una o due settimane. Questi cerotti sono necessari per riadattare la pelle sulla nuova struttura osteo-cartilaginea creata con l’intervento. Il naso rimane edematoso (gonfio) per una o due settimane. Il risultato definitivo si può apprezzare solo a tre o quattro mesi di distanza dall’intervento. L’obiettivo del chirurgo? Coincide normalmente con quello del paziente e consiste nel realizzare la settorinoplastica con il duplice scopo di far respirare il paziente e di conseguire un risultato naturale. I nasi “standard”, “chirurgici”, “alla francese”, “con la punta molto all’in su” o con la punta stretta e pinzata, dovrebbero ormai costituire un ricordo del passato e non dovrebbero essere mai realizzati neanche su richiesta del paziente. L’obiettivo deve essere quello di raggiungere un’armonia facciale e una naturalità che corrisponda ad un naso bello, ma non dall’aspetto rifattoDurata intervento > 120-180 min /
Anestesia > generale
Costo > 8000 Euro
Che si intende per settorinoplastica di revisione?
Per settorinoplastica di revisione si intende il dover rimettere le mani chirurgicamente su un naso già operato per residui problemi estetici o funzionali. Si parla di settorinoplastica secondaria se si è subito un solo intervento precedente, terziaria se due interventi, quaternaria se tre, e così via.
E’ frequente?
Purtroppo capita sempre più frequentemente il dover rioperare pazienti già sottoposti ad intervento di settorinoplastica. Il problema principale per cui i pazienti non sono soddisfatti del primo intervento è l’innaturalità del proprio naso in seguito all’intervento, il cosiddetto aspetto di naso “rifatto”, che tanto andava di moda 20-30 anni fa, ma che è da proscrivere al giorno d’oggi.
E’ più semplice tecnicamente del primo intervento?
No! La settorinoplastica secondaria prevede una competenza ed un’esperienza elevate. Il principale problema è che l’anatomia è sovvertita dal primo intervento ed è spesso necessario un vero e proprio intervento di ricostruzione anatomica delle strutture osteocartilaginee nasali per poter ridare al naso un aspetto piacevole, naturale e funzionale. A volte durante la settorinoplastica primaria qualche chirurgo toglie troppa cartilagine sia a livello del setto che delle cartilagini. Ciò può portare a due problemi: il primo è estetico-funzionale, in quanto per esempio una resezione eccessiva delle cartilagini alari porta ad un pinzamento della punta nasale ed ad una insufficienza della valvola nasale esterna, con conseguente difficoltà respiratoria; il secondo è che nella settorinoplastica di revisione non si ha a disposizione la cartilagine nasale per gli innesti necessari a ricostruire il naso e a riparare i danni. E’ allora spesso necessario ricorrere al prelievo di cartilagine dalla conca auricolare (con una piccola incisione dietro l’orecchio senza alcuna deformità residua dell’orecchio) oppure far ricorso al prelievo di cartilagine costale.
E se c’è una perforazione del setto nasale?
La perforazione del setto nasale è quanto di più complesso ci sia da trattare nella chirurgia del naso. A causa dei vortici che si creano nelle fosse nasali quando essa è presente, si associa a grave difficoltà respiratoria nasale. Essa riconosce principalmente due cause: la prima e la più comune è quella iatrogena (ossia conseguente a pregressi interventi chirurgici), la seconda è connessa all’uso di cocaina o di vasocostrittori nasali. È possibile chiudere perforazioni anche di 3-4 cm di diametro con tecniche molto complesse che richiedono un intervento ci almeno due ore.
Approccio chiuso o open?
Nel caso della settorinoplastica secondaria, a meno che non si tratti di difetti molto lievi, è quasi sempre necessaria l’approccio open.
L’intervento si esegue in anestesia generale?
Si. Sebbene in alcuni casi sia possibile ricorrere all’anestesia locale e questo possa variare dalle preferenze del chirurgo e del paziente, è consigliabile l’anestesia generale.Durata intervento >10-15 min /
Anestesia > crema anestetica
Costo > 500 Euro
Il rinofiller, o come viene spesso chiamato, rinoplastica non chirurgica, può essere considerato un’alternativa al bisturi solo in alcuni casi ed esclusivamente per lievi difetti estetici.
Il rinofiller è una tecnica non chirurgica che consiste nell’infiltrazione di sostanze biocompatibili e riassorbibili atta ad aumentare i volumi del naso. Lo scopo è quello infatti di riempire piccoli avvallamenti del naso cosicché da livellare una gobbetta, di sollevare leggermente una punta un po’ cadente oppure raddrizzare un profilo cosiddetto “a sella”, cioè scavato. Non è indicato per ridurre le dimensioni di un naso troppo grande o per correggere difetti funzionali.
Quali sono i benefici del rinofiller?
E' un trattamento veloce, per nulla invasivo e che non richiede degenze ospedaliere né particolari attenzioni post-intervento; in cinque, dieci minuti si possono ottenere i risultati desiderati. Il beneficio maggiore è dato dall'avere un risultato immediato evitando la procedura chirurgica della rinoplastica.
In cosa differisce da una rinoplastica?
E' completamente differente: il trattamento di rinofiller viene intrapreso solo per correggere problemi di natura estetica, mai funzionale. La rinoplastica, di contro, permette di correggere in maniera permanente le strutture nasali intervenendosull'osso, sulle cartilagini e sulla pelle: questo intervento chirurgico consente di correggere ogni tipo di naso. In aggiunta, il rinofiller, agendo come riempitivo, permette solamente un aumento e non una riduzione delle dimensioni nasali, di conseguenza è sconsigliabile in presenza di nasi già "importanti".
Nello specifico quali problemi comuni può risolvere?
Le correzioni possibili sono molteplici: si può utilizzare per eliminare lievi gibbosità intervenendo sulla radice nasale che viene riempita portandola allo stesso livello della gobbetta, ma anche per dar maggior personalità ad una punta ipoproiettata e quindi poco sporgente.Il rinofiller puòcorreggere un naso a sella che presenta schiacciamenti o vuoti da riempire e può anche correggere un naso torto andando a riempire il lato concavo; in quest’ultimo caso è necessario comunque agire solo in presenza di problemi lievi in quanto si rischierebbe altrimenti di andare ad allargare eccessivamente, attraverso il riempimento, il frontale nasale.
E' un intervento doloroso?
Non è assolutamente doloroso, l'unico fastidio lieve è dato dalle iniezioni effettuate con un aghetto molto piccolo. Il trattamento prevede l'applicazione di una crema anestetica che rende pressoché impercettibile la successiva iniezione. Il post-operatorio prevede un leggero senso di addormentamento della parte interessata, legato ad un lieve gonfiore che sparisce nel giro di qualche ora.
Dopo il trattamento si può tornare alla normali attività?
Assolutamente sì. Il rinofiller non necessità alcun tipo di degenza ospedaliera ne tantomeno giorni di convalescenza, è un trattamento ambulatoriale e come tale permette un'immediata ripresa delle attività. Subito dopo il trattamento, si può applicare del ghiaccio o trattare la zona con l'utilizzo di creme topiche all'ossido di zinco, che ne limitano il gonfiore. Per alcuni giorni è consigliabile proteggere la pelle con uno schermo solare 50+: normalmente possono presentarsi dei piccoli ematomie del lieve gonfiore che in pochi giorni vanno scomparendo.
Quanto dura l'effetto del rinofiller?
L'effetto dell'acido ialuronico non è permanente ma, nell'area nasale, è come se quasi lo fosse. Molto probabilmente questa parte del viso ha una particolare tipologia di vascolarizzazione che garantisce tempi di riassorbimento del filler molto più diluiti e lunghi rispetto ad altre zone trattate. In genere l'effetto dura dai 7 mesi ad un anno con un riassorbimento del componente pari al 30/40%. In genere, per esperienza personale, il protocollo prevede il secondo trattamento riempitivo ad un anno di distanza,mentre il terzo richiamo èmolto raro che avvenga in quanto la pelle, che nel naso ha una memoria molto accentuata, tende ad espandersi andandoa stabilizzarsisulle nuove fattezze.
Qual é il paziente tipico di questo tipo di intervento?
E' il paziente che non ha tempo oppure che non vuole o ha paura di sottoporsi ad una rinoplastica. Questo trattamento attira in egual misura uomini e donne che vogliono risolvere un piccolo problema o semplicemente migliorare il proprio profilo, mascherando i piccoli difetti.


CHIRURGIA MAXILLO FACCIALE
Durata intervento > 120-240 min / Anestesia > generale
La chirurgia ortognatica è la branca della chirurgia maxillo-facciale che ha come obiettivo il corretto rapporto dento-scheletrico tra mascellare e mandibola. Sebbene l’occlusione e la funzione dell’articolazione temporo-mandibolare abbiano un ruolo chiave nella programmazione dell’intervento, oggi i fattori estetici e psicologici legati alla malformazione dento-scheletrica facciale rivestono un ruolo preminente. Perché fare l’intervento? I motivi che spingono all’intervento possono essere sia estetici che funzionali. Le alterazioni funzionali correlate ad una malocclusionedento-scheletrica sono problemi masticatori, dolore e rumori a livello delle articolazioni temporo-mandibolari, asimmetrie facciali, dolori cronici alla mandibola e al collo e cefalee, difficoltà respiratorie durante il sonno (Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno), incapacità a chiudere le labbra e a deglutire. Bisogna fare ortodonzia prima? Prima di potersi sottoporre all’intervento di riposizionamento delle basi scheletriche mascellare e mandibolare, è necessaria una corretta terapia ortodontica prechirurgica. Quest’ultima ha il compito di preparare alla chirurgia ortognatica ed ha obiettivi diversi (spesso opposti) rispetto alla ortodonzia tradizionale. Quando si presenta una malocclusione, ci si deve innanzitutto porre una domanda: essa dipende dai denti o dall’osso sottostante? Se c’è esclusivamente un coinvolgimento dentario, allora l’ortodonzia classica trova il suo campo di applicazione. Se al contrario la malocclusione è secondaria ad una crescita abnorme delle ossa mandibolare o mascellare sia in eccesso che in difetto, allora è un grave errore (purtroppo frequente) quello di cercare di “far chiudere i denti” cercando un compenso occlusale. Lo scopo dell’ortodonzia prechirurgica è invece proprio quello di decompensare i compensi occlusali instauratisi nel tempo o per pregresse incongrue terapie. Per far ciò vengono trattate le arcate dentarie superiore ed inferiore come se fossero indipendenti tra loro e gli spostamenti dentari vengono programmati su modelli in gesso. Solo quando i modelli in gesso delle due arcate vanno in perfetta occlusione tra loro, indipendentemente da quale sia la momentanea occlusione in bocca, si può eseguire l’intervento chirurgico. In cosa consiste l’intervento? L’intervento chirurgico può coinvolgere sia il mascellare superiore sia la mandibola oppure uno solo di essi. Consiste nella mobilizzazione mediante osteotomie standard del mascellare e/o della mandibola e nel loro riposizionamento secondo un corretto rapporto occlusale ed estetico. Viene totalmente eseguito per via intraorale ed ha una durata totale di circa due ore. Il periodo di ospedalizzazione è di circa 2-3 giorni dopo l’intervento. Non si ricorre più, se non in casi eccezionali, al bloccaggio intermascellare perché i mezzi di sintesi rigida introdotti per stabilizzare le ossa osteotomizzate consentono una mobilizzazione precoce. Il paziente può quindi alimentarsi e parlare già dal giorno successivo all’intervento chirurgico. Il massimo del gonfiore si ha a 24-48 ore ed il risultato definitivo può essere apprezzato a tre o quattro settimane dall’intervento. Spesso questo tipo di intervento viene associato ad altre procedure, dette ancillari, che hanno l’obiettivo di migliorare il risultato estetico. Tra esse vi sono la genioplastica, la settorinoplastica, le protesi zigomatiche o mentali, il rimodellamento degli angoli mandibolari, la liposuzione submentale.Durata intervento > 60-180 min / Anestesia > generale
Quante e quali sono le ghiandole salivari? Le ghiandole salivari si dividono in maggiori e minori. Le minori sono moltissime, delle dimensioni di piccoli granelli e sono dislocate in tutta la mucosa della bocca. Le ghiandole salivari maggiori sono invece 3 per lato e comprendono la ghiandola parotide, la ghiandola sottomandibolare e la sottolinguale. Qual è la patologia più comune? Le ghiandole salivari maggiori sono spesso colpite da patologia infiammatoria spesso su base litiasica (calcoli) o da neoformazioni che si sviluppano nel loro contesto. La ghiandola parotide è spesso interessata dalla formazione di tumori benigni quali l’adenoma pleomorfo o il tumore di Whartin. I calcoli coinvolgono più frequentemente la ghiandola sottomandibolare. In cosa consiste la terapia? Dipende dal singolo caso. E’ comunque spesso prevista l’asportazione chirurgica della ghiandola (scialoadenectomia). L’intervento sulla ghiandola parotide deve tenere conto che essa è attraversata dal nervo facciale, che è il nervo che dà la motilità a tutta la faccia. Per preservare tutte le branche di questo nervo è indispensabile vederlo e seguirlo dalla sua emergenza fino ai rami più periferici. La neoformazione può essere sia al di sopra del nervo facciale (superficiale) sia al di sotto di esso (profonda). Nel primo caso (più frequente) è necessario eseguire una parotidectomia superficiale, nel secondo caso una parotidectomia profonda.Durata intervento > 60-240 min / Anestesia > generale
Le fratture del distretto maxillo-facciale sono molto frequenti e richiedono un trattamento specialistico. Esse possono interessare in maniera isolata o combinata diverse ossa componenti lo scheletro facciale. Le più frequenti sono le fratture delle ossa nasali, le fratture del complesso orbito-maxillo-zigomatico con possibile o isolato coinvolgimento del pavimento orbitario (blow out) e le fratture mandibolari. Tra queste ultime le fratture più frequenti riguardano il condilo mandibolare, la regione dell’angolo mandibolare e della parasinfisi. Altre fratture comprendono le fratture del mascellare superiore (tipo Le Fort I, Le Fort II o Le Fort III), le fratture del frontale, le fratture isolate dell’arco zigomatico, quelle della parete mediale dell’orbita e dell’apice orbitario. La sintomatologia è varia e dipende dal tipo di frattura. Le fratture del complesso orbito-maxillo-zigomatico si caratterizzano per l’edema ecchimotico (gonfiore con raccolte di sangue sottocutanee), che all’inizio può mascherare la deformità estetica sottostante. Se sono associate a frattura del pavimento orbitario è spesso presente diplopia (visione doppia). In caso di fratture mascellari o mandibolari scomposte vi è nella maggior parte dei casi un’alterazione dell’occlusione. Il trattamento deve essere attuato tempestivamente e comunque non oltre 15 giorni da trauma per evitare il consolidamento in posizione viziata dei monconi fratturativi. Il trattamento di questo tipo di fratture è competenza specifica del chirurgo maxillo-facciale. Esso si articola in tre fasi: 1) esposizione; 2) riduzione e 3) contenzione. Per esposizione si intende l’accesso chirurgico alla rima fratturativa mediante incisioni cutanee o mucose. Queste ultime vengono oggi eseguite in regioni nascoste, in modo che possano essere pressoché invisibili a guarigione avvenuta. Per riduzione si intende il riposizionamento delle ossa fratturate nella loro posizione originaria con riallineamento delle rime fratturative. Infine, con il termine contenzione o fissazione si fa riferimento alla stabilizzazione della frattura con l’utilizzo di placche e viti in titanio. Queste vengono poste a contatto dell’osso e, ad eccezione di rarissimi casi, non danno alcun problema nel post-operatorio e non devono essere rimosse. La degenza post-operatoria dipende dal tipo di frattura.Durata intervento >Variabile / Anestesia > Generale
La chirurgia è spesso l’unica soluzione radicale per questo tipo di patologie, anche se nei casi indicati essa può essere preceduta o seguita da chemio e/o radioterapia. La prognosi in queste patologie è strettamente correlata con la precocità della diagnosi. Al minimo sospetto quindi è bene farsi visitare perché l’individuazione precoce della malattia è l’arma migliore che abbiamo tutt’oggi a disposizione per combattere contro le neoplasie. Il fumo di sigaretta e l’alcool sono i due principali fattori di rischio riconosciuti per il carcinoma del cavo orale. La terapia chirurgica non è cambiata concettualmente nel corso degli anni: bisogna in ogni caso eliminare la neoformazione patologica in margini sani e di sicurezza biologica, insieme, se indicato, con le stazioni linfonodali di afferenza. Ciò che è cambiato negli ultimi anni è stato l’avvento di nuove possibilità ricostruttive, che hanno permesso di arrivare a livelli di radicalità oncologica nella fase demolitiva non raggiungibili in passato. La ricostruzione è oggi nella gran parte dei casi affidata alla microchirurgia, che permette, con l’utilizzo di lembi liberi rivascolarizzati, un buon ripristino morfo-funzionale delle strutture asportate. Si tratta di lembi ossei (perone, cresta iliaca, scapola) o muscolo-cutanei (muscolo retto dell’addome, radiale), che vengono prelevati dalla loro sede dopo avere individuato il loro peduncolo vascolare. Quest’ultimo viene poi anastomizzato con tecniche microchirurgiche ai vasi disponibili a livello del collo e della faccia, consentendo quindi una rivascolarizzazione del lembo. La modellazione di questi lembi permette riabilitazioni morfo-funzionali migliori rispetto al passato.Durata intervento > 60-240 min / Anestesia > Locale o generale
La moderna implantologia si definisce protesicamente guidata. In parole semplici l’impianto non va inserito dovunque ci sia osso, ma solo in siti specifici determinati da dove dovrà poi essere collocato il dente. In questo modo il risultato estetico e funzionale è migliore. Se c’è osso in abbondanza non c’è problema, ma se questo manca è necessario sostituirlo. Sebbene esistano molti sostituti ossei sintetici, l’osso autologo (della stessa persona) rimane ancora oggi il miglior materiale per la ricostruzione del mascellare e della mandibola nelle atrofie ossee. Da dove può essere prelevato l’osso? Esistono diversi siti di prelievo per l’osso autologo, che andranno selezionati in base alla quantità di osso necessaria e alle preferenze del chirurgo e del paziente. Schematicamente atrofie non molto estese possono essere risolte con un innesto osseo prelevato dal ramo della mandibola, con incisioni tutte interne alla bocca. Quando è invece necessaria una grande quantità di osso, allora è meglio prelevare osso dalla cresta iliaca. Altri siti di prelievo, quali la teca cranica, la tibia, la tuberosità mascellare, la sinfisi mentoniera, potranno essere valutati di volta in volta, ma sono meno proposti dal chirurgo e meno accettati dal paziente. Come avviene l’intervento? Dipende dal sito di prelievo. Per il prelievo dall’angolo mandibolare non è solitamente necessaria l’anestesia generale. L’incisione è tutta interna alla bocca e con l’ausilio di frese e piccoli osteotomi si esegue il prelievo, che viene poi modellato nella stessa seduta operatoria e fissato con viti in titanio nella zona da ricostruire. Per il prelievo dalla cresta iliaca è invece necessaria l’anestesia generale. L’incisione viene effettuata molto lateralmente in modo che possa essere coperta d’estate dal costume. Passando tra i piani muscolari senza lacerarli, si arriva all’osso della cresta iliaca prelevandolo nella porzione mediale, in modo da lasciare il contorno esterno della cresta senza deformazioni. Normalmente non viene messo alcun drenaggio ed il paziente può mobilizzarsi dal giorno successivo. In caso di prelievo di quantità ossee rilevanti è consigliabile l’utilizzo di stampelle per una settimana. Quanto dura l’intervento? Il tempo medio di un prelievo dall’angolo mandibolare è di circa 20 minuti, mentre il prelievo da cresta iliaca richiede circa 40 minuti. Si può fumare dopo l’intervento? L’intervento di innesto osseo è controindicato nei fumatori. Il fumo fa aumentare esponenzialmente il rischio di esposizione e di infezione dell’innesto, con conseguente perdita dello stesso. Dopo quanto tempo si possono inserire gli impianti? Occorre del tempo perché l’osso innestato si leghi saldamente all’osso mascellare o mandibolare. Questo tempo è solitamente di 4-6 mesi. Se si superano gli 8-10 mesi, data l’assenza di stimolo funzionale, l’osso innestato tende a riassorbirsi.Durata intervento >Il tempo medio dell’intervento è di circa 30 minuti. / Anestesia >locale
Per grande rialzo di seno mascellare si intende un innesto osseo che viene posizionato a livello del pavimento del seno mascellare allo scopo di aumentare la dimensione verticale mascellare posteriore e poter inserire impianti. Perché e quando va effettuato? Il grande rialzo di seno mascellare va effettuato quando è presente un’atrofia ossea mascellare posteriore in senso verticale. Con il passare degli anni e con la perdita degli elementi dentari, l’osso mascellare va in graduale progressiva atrofia. Il seno mascellare, che è la cavità aerea posta a lato del naso e superiormente agli elementi dentari, in seguito alla perdita dei denti e del loro stimolo funzionale sull’osso, si espande e riduce la quantità di osso sfruttabile per il posizionamento di impianti osteointegrati. Quali sostanze vengono impiegate? Le sostanze utilizzate possono essere diverse ed è stato dimostrato che osso alloplastico (sintetico), eterologo (da origine animale) o autologo (prelevato dalla stessa persona) sono quasi equivalenti in questo tipo di procedura. Come avviene l’intervento? L’intervento si realizza in anestesia locale. L’incisione viene tracciata a livello della mucosa della cresta alveolare con piccole incisioni di scarico laterali. Con una fresa diamantata o multilama viene realizzata una piccola finestra a livello della parete laterale del seno mascellare, senza assolutamente danneggiare la membrana che lo riveste. Quest’ultima viene poi delicatamente innalzata (rialzo di seno) ed inferiormente ad essa si inserisce il materiale da innesto. A volte è necessaria una membrana di collagene esternamente per proteggere il materiale innestato. A questo punto non resta che suturare. Quali avvertenze avere dopo l’intervento? Le avvertenze principali da osservare nel periodo post-operatorio sono fondamentalmente due: 1) Non fumare! 2) Non soffiarsi il naso per almeno due settimane, evitando anche altre manovre di compensazione delle vie aeree (aereo, elicottero, alta montagna, sforzi). E’ poi anche importante mangiare liquido/morbido e freddo per qualche giorno e non mettere la protesi che poggi direttamente sul sito del rialzo. Edema della guancia associato a leggero ematoma sono spesso presenti per qualche giorno dopo l’intervento. Dopo quanto tempo si possono inserire gli impianti? Occorre del tempo perché l’osso o il materiale innestato si trasformino in osso del paziente. Questo tempo è solitamente di 6-8 mesi. Se si superano i 10-12 mesi, data l’assenza di stimolo funzionale, l’osso innestato tende a riassorbirsi.Durata intervento > 10-30 min / Anestesia > locale L’implantologia orale endoossea è una disciplina chirurgica che consiste nel posizionamento nell’osso delle arcate dentarie, parzialmente o totalmente edentule, di radici artificiali in titanio. Queste, grazie ad un processo di integrazione biologica con il tessuto osseo del paziente (osteointegrazione), vengono poi utilizzate come base di sostegno degli elementi dentari protesici sostitutivi. E’ una metodica sicura? A partire dagli anni sessanta l’impiego degli impianti è stato documentato in oltre 10000 studi scientifici. I pazienti trattati ogni anno in Italia sono oltre 400000, per un totale di più di un milione di impianti. Studi a lungo termine hanno inequivocabilmente dimostrato che la percentuale di successo degli impianti dentali dopo 15 anni è superiore al 96%. Quali sono i vantaggi? Dal punto di vista estetico e funzionale i denti supportati da impianti sono spesso indistinguibili dai denti naturali. Il principale vantaggio rispetto ai ponti tradizionali consiste nel fatto che con gli impianti non è necessario limare i denti adiacenti per prepararli a supportare i nuovi denti. La protesi totale su impianti è inoltre più confortevole perché non vi è necessità di coprire il palato con il materiale della protesi, con evidenti ripercussioni positive sul modo di parlare e di mangiare. Ci sono delle controindicazioni? Sì. Costituiscono controindicazioni assolute all’implantologia la presenza di anemia grave, immunodepressione, disturbi della coagulazione e diabete non compensato. In caso di malattie cardiovascolari, respiratorie o del sistema muscolo-scheletrico vanno valutati individualmente i rischi. Il fumo di sigaretta rappresenta una controindicazione relativa, ma è assolutamente consigliabile astenersi dal fumo da almeno una settimana prima ad un mese dopo l’intervento, in particolare se si è fatto ricorso a tecniche di rigenerazione ossea. Esistono limiti d’età? L’unica limitazione di età è rappresentata dall’attesa del termine di accrescimento delle ossa mascellari (circa 16 anni per le femmine e 18 per i maschi). Non esistono limiti superiori d’età, compatibilmente con le condizioni generali. Cos’è l’implantologia protesicamente guidata? Fino a qualche anno fa l’obiettivo della chirurgia impiantare era quello di posizionare gli impianti nei mascellari “cercando l’osso”, ossia regolando l’asse dell’impianto in base alla quantità di osso disponibile. Il risultato era quello che i denti supportati da impianti con asse e profondità di inserzione non corretti erano sì funzionali, ma spesso non adeguati dal punto di vista estetico. Oggi, con l’ausilio di software dedicati e di particolari guide chirurgiche, gli impianti devono essere inseriti in zone ossee prestabilite e con assi precisi. L’implantologia viene dunque guidata dalla protesi e grazie ad una più precisa programmazione, possono essere raggiunti risultati estetici superiori. E se non c’è osso? A causa di traumi, resezioni chirurgiche o atrofie è talora assente l’osso alveolare mascellare necessario al posizionamento corretto degli impianti. Esistono oggi numerose tecniche di rigenerazione o di ricostruzione ossea. Si può far ricorso ad innesti di osso autologo, prelevato cioè dallo stesso paziente, oppure di materiale alloplastico. La rigenerazione ossea guidata con membrane e biomateriali, il grande e piccolo rialzo del seno mascellare, gli innesti ossei onlay ed inlay, la possibilità di effettuare osteotomie più complesse dei mascellari (inclusa la chirurgia ortognatica), la possibilità di allargare la cresta alveolare (splitcrest) sono solo alcune delle tecniche a disposizione del chirurgo per risolvere casi più complessi. Se le condizioni generali del paziente lo permettono e se non vi sono controindicazioni, si può oggi affermare che non esistono casi in cui gli impianti endoossei non possano essere inseriti. Gli impianti sono tutti uguali? No. Vi sono alcune ditte produttrici di impianti che hanno investito in ricerca ed offrono oggi superfici di rivestimento dell’impianto che abbreviano fino a 1 o 2 mesi i tempi di osteointegrazione (tempo necessario prima che l’impianto possa “essere caricato” con il dente definitivo). Purtroppo le ditte produttrici di impianti sono sempre più numerose ed alcune di esse, pur di produrre e commercializzare impianti a bassissimi costi, non offrono sempre prodotti scientificamente validati e garantiti. Quali sono le complicanze? Si tratta classicamente di un intervento molto semplice con scarsissima morbilità per il paziente, non scevro tuttavia da complicanze. Il mancato attecchimento dell’impianto è un evento possibile, ma molto raro in particolare in soggetti non fumatori. Le complicanze più gravi sono la sinusite mascellare, provocata da impianti parzialmente o totalmente inseriti nel seno mascellare, e la lesione del nervo alveolare inferiore, conseguente ad imperizia o ad errore di programmazione.

